18 novembre 2021

In questa data, viene pubblicata in Gazzetta Ufficiale  la legge 162/2021, che modifica il codice delle pari opportunità (decreto 198/2006).

Nel nostro Paese, la parità di genere nel lavoro è ancora lontana, sono i numeri a dirlo. Attualmente il Global Gender Gap Index, l’indicatore che misura in 156 Paesi del mondo i divari di genere tra quattro dimensioni chiave (partecipazione economica e opportunità, risultati scolastici, salute e sopravvivenza, ed emancipazione politica), ci relega al 63° posto. Ma le cose potrebbero cambiare rapidamente.

Il merito è proprio della legge 162/2021, che ha ridotto a 50 dipendenti la soglia oltre la quale scatta l’obbligo per le aziende di redigere il Rapporto sulla Situazione del Personale, nel quale si specifica numero e tipologie di dipendenti di genere maschile e femminile. Questa legge ha inoltre introdotto la Certificazione di Genere, una sorta di ‘bollino rosa’ che le imprese possono chiedere su base volontaria. La certificazione ha una durata di tre anni e prevede un monitoraggio: le aziende dovranno impegnarsi ad alzare sempre più l’asticella dell’inclusione.

Durante un incontro organizzato dal Sole24Ore e promosso da Unioncamere per illustrare le direttrici di questo importante strumento, il Ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Maria Roccella, ha parlato di una grande operazione culturale, dichiarando che i requisiti introdotti dalla Certificazione di Genere, che vanno dalla conciliazione tra tempo di lavoro e di cura al sostegno alla maternità, sono indispensabili per raggiungere quella parità tra i generi che ancora oggi non abbiamo.

Il Dipartimento per le Pari Opportunità ha stanziato 10 milioni di euro tramite Unioncamere: le PMI potranno ricevere assistenza e conseguire gratuitamente la certificazione.

Certificazione fa rima con vantaggi, che per le imprese certificate saranno diversi: esoneri contributivi pari all’1% sul totale dei dipendenti (fino a 50.000 euro annui), facilitazioni per l’accesso ai bandi, specialmente quelli a valere su PNRR e PRC, decontribuzione per le assunzioni e un maggior punteggio negli appalti pubblici (punto che, tuttavia, potrebbe diventare facoltativo stando allo schema di modifica del Codice degli Appalti in discussione in questi giorni).

I benefici potrebbero essere molti per il sistema Paese nel suo complesso. Si stima che il miglioramento dell’equilibrio di genere potrà produrre sul PIL italiano un aumento tra il 9 e l’11 per cento.

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