L’8 marzo 2024 ci riporta al contempo un’urgenza e un’emergenza.

L’urgenza è insita nell’8 marzo stesso e scaturisce dalla lentezza con la quale registriamo i progressi nella battaglia per la parità di genere e per l’emancipazione femminile, nella nostra Europa e nel mondo. Dopo oltre un secolo da quando un gruppo di donne si ritrovò a Copenaghen, per avviare un movimento di salvaguardia dei diritti delle donne madri e lavoratrici, moltissimo resta ancora da fare per raggiungere l’obiettivo della parità. E dunque parlare di urgenza diventa lecito e quanto mai opportuno.

Ma l’8 marzo è anche emergenza, perché questa ricorrenza è legata a filo doppio a un’altra giornata, non meno importante, quella del 25 novembre.

Parliamo naturalmente dei femminicidi, le cui radici affondano in quella cultura arcaica che tutti quei movimenti che trovano celebrazione nell’8 marzo cercano di contrastare e smantellare giorno dopo giorno. Leggendo questo triste bollettino quotidiano, pieno di nomi di donne, ci rendiamo conto della progressione spaventosa dei femminicidi e capiamo con i nostri occhi quali siano le ragioni per classificarli come una vera e propria emergenza sociale. Dall’inizio dell’anno a oggi, venti donne, solo in Italia, sono state uccise da uomini che con violenza hannno accampato diritti sulle loro vite fino a spegnerle per sempre. In media si conta un femminicidio ogni tre giorni, se non fosse che in qualche giornata registriamo addirittura due vittime. E non ci sono ‘safe zones’, zone sicure, in questa emergenza. Non possiamo dire che “succede solo dove…” o “succede solo se…”. Queste venti donne, come i loro assassini, sono di ogni luogo d’Italia, di ogni estrazione culturale o sociale, di ogni ceto economico. Nessuno può permettersi di immaginare se stesso in un altro luogo, dove queste cose non accadono, e quindi ciascuno egualmente è chiamato a riflettere e a dare il proprio contributo, sia nella sfera personale sia nelle relazioni sociali.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, celebrando lo scorso anno la giornata dell’8 marzo, ha delineato in modo limpido e incisivo con le sue parole i cardini di questo percorso di riflessione:

“[…] l’8 marzo non è, come a volte si sente ripetere, la festa della donna, o delle donne, ma si tratta di un’occasione, preziosa, per fare il punto sulla condizione femminile nel nostro Paese, in Europa, nel mondo.

Ne emerge la convinzione che la strada per il raggiungimento di una parità effettiva, costituita con pienezza da diritti e da opportunità, sia ancora lunga e presenti tuttora difficoltà. Ma vi si aggiunge la certezza che questa strada va percorsa con il massimo di determinazione. Perché dalla condizione generale della donna, in ogni parte del mondo, dipende la qualità della vita e il futuro stesso di ogni società.

Non può esservi vera libertà se non è condivisa dalle donne e dagli uomini.

[…] stereotipi e pregiudizi sono determinati tutti da un unico elemento: la paura nei confronti della donna, del suo essere differente nel corpo e nella sensibilità, della sua intelligenza, della sua voce, della sua indipendenza.

Fin da alcuni miti antichi la donna è stata sovente e incredibilmente vista come elemento di allarme, di ostacolo all’immobilismo di valori tramandati.

La realtà delle donne […], le vicende di grandi donne che abbiamo conosciuto per diretta esperienza o per conoscenza della storia, di donne nella normalità della vita quotidiana, ci insegnano che donna è sinonimo di coraggio, di determinazione, di equilibrio, di saggezza, di pace, di promozione di diritti e di libertà.

Provoca stupore, oggi, rileggere anche alcuni atti parlamentari della Repubblica, che pure aveva assicurato, per la prima volta, alle donne italiane il diritto di voto e aveva sancito la piena parità di diritti.

La discussione sulla legge della senatrice Merlin, durante la quale molti esponenti, di idee liberali e democratiche, discettavano sull’esistenza di prostitute per nascita, assegnando a queste donne un destino preordinato e irredimibile. Come nel dibattito sull’ingresso delle donne in magistratura, condito da apprezzamenti misogini sulla mancanza di equilibrio e di giudizio.

In questi decenni la Repubblica ha fatto progressi enormi. Sul piano legislativo e su quello della diffusione di una cultura della parità. Tra le istituzioni e nella società.

Abbiamo in carica la prima donna alla guida del Governo, Presidente del Consiglio dei Ministri, nuovamente una donna alla presidenza della Corte Costituzionale, da pochi giorni una donna al vertice della magistratura. Ma certe mentalità, e soprattutto certe consuetudini grottesche e gravemente dannose, sono ancora presenti.

Occorre un impegno ulteriore delle istituzioni, della comunità civile, delle donne e degli uomini, insieme, per rimuovere ostacoli, confutare pregiudizi, operando con azioni concrete, contrastando con forza le inaccettabili violenze e i femminicidi, che sono crimini gravissimi da sanzionare con il massimo di severità.

Per rivolgere lo sguardo al mondo, in linea con il tema di questa giornata, Donna e Libertà, ricordiamo che vi sono stime dell’Onu, attraverso un rapporto del Fondo per la popolazione, secondo cui, oggi, le donne godono complessivamente soltanto del 75 per cento dei diritti assicurati agli uomini.

Le rilevazioni indicano, come è noto, un dato medio generale e non le situazioni più gravi ed estreme.

In molte aree del pianeta, infatti, alle donne non sono riconosciuti i diritti fondamentali, in misura ben maggiore.

Mutilazioni genitali, violenze sessuali, matrimoni combinati, persino per spose bambine, discriminazioni, divieti, imposizioni assurde e umilianti, impedimenti allo studio, al lavoro, alla carriera, al voto e alla partecipazione politica, negazione della facoltà di decisioni di vita tra le più elementari.

Ma le donne, molte donne, sono scese in strada. In tante parti del mondo. Per gridare la loro protesta, per far sentire la propria voce. Per reclamare non privilegi ma diritti. Diritti, ripeto, a beneficio di tutti, non soltanto delle donne.

Non possiamo rimanere estranei al loro grido di libertà. A questa lotta per le libertà fondamentali.

Una scrittice libanese, Najwa Barakat, ha sintetizzato così la visione del mondo delle ragazze di oggi che protestano: “Ho vent’anni, come posso vivere in una gabbia di vetro? Voglio allargare i miei rami, estendere le mie radici, respirare largamente quanto i miei polmoni. Niente al mondo può fermarmi. Sono un torrente impetuoso, un vulcano ruggente, un’energia esplosiva a cui nessun corpo, legge o autorità può impedire di crescere.”

Ed è appunto per questo, per paura della libertà che è paura delle donne, della determinazione che manifestano, che la repressione di regimi autoritari si abbatte con ottuso furore sulle proteste legittime.

Vorrei ribadire qui che si condanna da sé uno Stato che respinge e uccide i propri figli. Insieme a loro, la repressione uccide il futuro.

Non possiamo oggi prevedere l’esito di queste rivolte. Ma sappiamo già che il seme della libertà, il seme gettato dalle giovani donne ha una forza irresistibile.

[…] Anche su questo fronte le donne sono preziose e determinate costruttrici di pace, di tolleranza, di amicizia, di equilibrio, di libertà. C’è un forte legame tra la libertà delle donne e la speranza.

Buon 8 marzo a tutte!”

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