In vista della ricorrenza del 25 novembre, volendo riflettere sulle tematiche che hanno originato questa giornata e sulla loro attualità, che purtroppo già nei fatti ci viene confermata, APPIA CNA Belluno ha deciso di coinvolgere prima di tutto i propri collaboratori, i dipendenti, che costituiscono un campione piccolo ma significativo della società in cui viviamo.

L’occasione è stata offerta da una cartolina illustrata con una vignetta provocatoria dell’artista Anarkikka, voluta dall’Associazione Belluno Donna per la distribuzione nei luoghi di lavoro nell’ambito delle iniziative del programma Respect Equality. Anarkikka, con i suoi lavori, è anche la protagonista della mostra ‘Non chiamatelo raptus’ presso la Sala Presidenza del Palazzo della Provincia di Belluno, visitabile fino al prossimo 5 dicembre.

Per capire l’impatto che potrà avere l’iniziativa di Belluno Donna, APPIA CNA ha inviato la cartolina a tutti i propri dipendenti, accompagnata da un breve sondaggio online, in forma completamente anonima, così da raccogliere le loro considerazioni sui temi e sulle strategie di comunicazione che la cartolina illustrata propone.

Al sondaggio hanno risposto 50 dipendenti (34% uomini e 66% donne).

Tutti gli intervistati concordano all’unanimità sulla necessità di azioni di sensibilizzazione contro la violenza e gli stereotipi di genere.

Il 60% degli intervistati, uomini e donne, ritiene che frasi come quelle riportate nella vignetta rispecchino l’attualità dei luoghi di lavoro ‘oggi come un tempo’, mentre il restante 40% le considera ‘attuali, ma molto meno di un tempo’. Tra questi ultimi, sono soprattutto gli over 50 a vederla così, ed è un dato positivo se si pensa che gli ultracinquantenni hanno una visione che considera un ampio arco di tempo speso sul posto di lavoro, circa trent’anni, ed esprimono quindi un punto di vista storicizzato più autorevole rispetto a fasce d’età più basse.

Tuttavia, si rileva anche il dato negativo di quel 60% che ritiene non ci sia stato alcun miglioramento rispetto ad un tempo e che rappresenta una base molto consistente. Se però si considera che questo 60% è distribuito tra uomini e donne, si può dedurre che il problema della disparità di genere è ancora molto presente, ma esiste negli uomini come nelle donne una crescente consapevolezza e presa di coscienza del problema.

Il 60% degli intervistati dichiara di aver sentito personalmente, nell’arco della propria vita lavorativa, rivolgere a qualche collega frasi come quelle riportate nella cartolina. Il 75% di essi sono donne di ogni età. È questo un dato che fa riflettere e che lascia spazio a interpretazioni comunque non positive. Perché, a parità di età ed esperienza, sono pochi gli uomini che segnalano di aver assistito a episodi di questo tipo? Si può ipotizzare che gli uomini siano stati più ‘distratti’, non notando o sottovalutando frasi che in qualche modo facevano parte di una cultura che loro comunque hanno sempre accettato perché li vedeva favoriti e protagonisti?

Scomponendo quel numero esiguo di uomini che ha risposto di aver sentito frasi di questo tipo in un contesto di lavoro, notiamo che il 60% di loro si colloca tra i 40 e 50 anni e che sono molto pochi gli over 50, metà nel complesso rispetto alle donne, un dato quest’ultimo difficilmente sostenibile, il che ci riconduce al problema della ‘distrazione’ maschile che abbiamo ipotizzato. Allo stesso tempo, la maggiore attenzione verso queste frasi da parte degli uomini over 40 ci dice che la battaglia culturale per la parità di genere ha portato qualche frutto. Preoccupa invece che nessun ragazzo under 30 dichiari di aver sentito questo tipo di frasi in un qualsiasi posto di lavoro, mentre le ragazze della stessa fascia d’età, che sostengono di averne fatto esperienza, siano il 20%. Questo fa supporre che i giovani uomini possano essersi abituati a convivere con le istanze sociali che chiedono il raggiungimento della parità di genere, e perciò non le ascoltino con la dovuta attenzione e non si sentano coinvolti in prima persona nel richiamo ad applicarle nella società e sul posto di lavoro. Di conseguenza, siamo indotti a pensare che sia necessario impostare nuovi strumenti di comunicazione nella lotta per la parità di genere contro la violenza sulle donne, tarati maggiormente sui giovani, facendo in modo che essi si approprino nuovamente e attivamente di un messaggio che altrimenti per loro rischia di essere soltanto uno slogan da leggere e poi dimenticare.

Tre donne su 50 testimoniano di essersi sentite rivolgere direttamente frasi di questo tipo e una di loro è una ragazza under 30. Con riferimento al campione esaminato si tratta del 6%, dato percentualmente non trascurabile. Leggere nei dati che una ragazza di meno di trent’anni, che probabilmente lavora da non più di dieci, si sia sentita rivolgere frasi di questo tipo può sembrare irrilevante numericamente ma invece è un fatto eclatante. Ci dice che una giovane donna che accede per la prima volta alla realtà del lavoro deve aspettarsi, oggi nel 2023 come un tempo, di potersi ancora sentir rivolgere frasi come quelle della cartolina, perché è comunque presente la mentalità sessista che porta un uomo a pronunciarle, con tutte le implicazioni che questo comporta. Anche numericamente il dato non è così irrilevante, se riportiamo sul totale delle donne lavoratrici la percentuale rilevata nel nostro piccolo campione.

Il 70% del campione intervistato, equamente distribuito tra uomini e donne, ritiene che iniziative come la distribuzione della cartolina illustrata siano efficaci strumenti di sensibilizzazione per far riflettere sul tema. Il 30% che invece ritiene che queste iniziative non siano efficaci è quasi per la totalità femminile.

Ciò significa che, pur se è ampiamente condivisa la necessità di azioni di sensibilizzazione come quelle proposte da Belluno Donna, tuttavia molte donne ritengono che iniziative di questo tipo siano utili ma non più adeguate e sufficienti.

È diffusa la convinzione della necessità di uno scatto culturale, che trovi nuove forme di espressione e superi una cultura di fondo ancora fortemente stereotipata.

A tal proposito, qualcuno suggerisce di cambiare il target delle iniziative di sensibilizzazione contro la violenza e gli stereotipi di genere, portando alla luce e in primo piano non solo la vittima ma l’uomo violento nelle parole e nei gesti, facendolo diventare il protagonista in negativo di immagini e altre forme di denuncia.

Qualcuno poi ritiene vada aumentata la consapevolezza delle donne sugli strumenti di tutela legale e migliorate le condizioni di disparità che ancora si registrano sul posto di lavoro, ad esempio in tema di parità retributiva.

Il taglio grafico e l’impostazione della vignetta sono apparsi a qualcuno come ironici e leggeri, scherzosi o addirittura ridicoli, inefficaci quindi per una corretta sensibilizzazione, anzi controproducenti, perché legittimano chi pensa che quelle frasi possano ritenersi accettabili se pronunciate con ironia e leggerezza, adducendo un preteso depotenziamento delle parole se il tono o il contesto è scherzoso e se quelle parole sono autorizzate da un rapporto di conoscenza e confidenza con la collega donna. Ma chi dovrebbe valutare in quest’ottica il grado di confidenza e quindi l’opportunità di un certo linguaggio? É un errore generalizzato nei rapporti interpersonali ritenere di potersi relazionare con gli altri secondo la nostra personale percezione, auto-determinando e imponendo il nostro punto di vista, che inevitabilmente chiama in causa la nostra individualità ma anche il ruolo sociale e professionale.

La cartolina, infine, ha suscitato diverse emozioni, tra le più ricorrenti disgusto, rabbia e indignazione, compassione e dispiacere.

Alcune donne aggiungono umiliazione, stanchezza, rassegnazione e frustrazione.

Ad alcuni le frasi sono apparse troppo stereotipate, poco realistiche e per questo poco efficaci. Questa lettura rende ancora più pesante il dato del 60% degli intervistati che dichiara di aver sentito direttamente rivolgere frasi di questo tipo ad una collega in un contesto di lavoro e pesantissimo quel 6% che se le è sentite indirizzare personalmente.

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