Francesca Bona è socia e amministratrice unica nell’azienda Dolomiti Strade Srl di Alpago.

Francesca, nel nostro territorio sono ancora pochissime le imprese certificate con la Certificazione della Parità di Genere. Il vostro caso è ancor più significativo, avendo voi certificato la vostra sede legale e non un’unità produttiva. Parliamo intanto della storia di Dolomiti Strade.

Sono una delle due socie donne dell’azienda fin dalla sua costituzione, nel 2011. L’azienda opera da sempre nel settore dell’edilizia non costruttiva, un settore che è ancora prettamente maschile, e la cosa, devo dire, mi è sempre stata chiara. Fin da subito mi sono resa conto di cosa significasse essere una donna. Di frequente mi capita di percepire il dubbio nel mio interlocutore e all’inizio la sensazione era quella di sentirmi un po’ fuori luogo.

Quindi ha sperimentato direttamente la questione di genere. Potrebbe riportarci una situazione concreta?

Mi è successo, per esempio di ricevere una telefonata e sentirmi chiedere di poter parlare col mio titolare. Lì per lì magari non ci dai troppo peso, ma basta fermarsi un attimo a pensare e la domanda sorge spontanea: perché dai per scontato che non possa essere io?

Come è nata l’idea della Certificazione della Parità di Genere?

Nel tempo l’azienda si è specializzata negli appalti pubblici, settore nel quale le certificazioni sono rilevanti. A partire dalla tradizionale ISO 9001, abbiamo deciso di intraprendere una programmazione per raggiungere vari obiettivi di certificazione, in un sistema di gestione integrato. L’anno scorso, il nostro consulente ci ha parlato della UNI/PDR 125:2022, che serve ad attestare la parità di genere in azienda. Pur non trattandosi di un requisito obbligatorio per partecipare agli appalti pubblici, ci siamo decisi ad intraprendere il percorso di certificazione, convinti di essere già nei fatti a buon punto. Diversi settori strategici dell’azienda, infatti, erano già occupati da donne. In Dolomiti Strade, sono donne la responsabile amministrativa, la responsabile gare e, da poco, una geometra. Così, il 5 ottobre dello scorso anno, abbiamo conseguito la certificazione di parità. Va sottolineato che un traguardo come questo, in un mondo, quello dell’edilizia, ancora piuttosto chiuso rispetto a certe tematiche, rappresenta anche di un modo per impegnarsi attivamente nella sensibilizzazione e rendere quotidiana la questione dell’inclusione. Riteniamo infatti che questi valori possano e debbano essere portati anche fuori dall’ambiente di lavoro. Si tratta di una questione spesso data per scontata, ma che è invece tutt’altro che banale. Le cose non cambieranno dall’oggi al domani, ma è necessario iniziare. La certificazione di parità nasce proprio per imprimere un cambiamento culturale.

La vostra impresa è certificata sotto vari profili, ma sembra di capire che nella sua scala valoriale la questione della parità di genere e del rispetto dell’altro rivesta un ruolo molto importante.

Certamente. Lo ribadisco, il nostro settore è ancora molto maschile, quindi quello della certificazione è un buon punto di partenza perché cominci a cambiare qualcosa.

Pensa che porre questa questione al centro della sua azione come imprenditrice sia anche dovuto alla sua sensibilità di donna?

Credo proprio di sì. La sensibilità femminile è diversa e, per la mia esperienza, sono convinta che, anche e soprattutto in un ambiente tradizionalmente maschile, le donne possano portare qualcosa di diverso e fare la differenza, dando la giusta importanza a certi valori, non da ultimo, ad esempio, la maggiore comprensione e accoglienza nei confronti delle difficoltà di gestione dei carichi di lavoro e di famiglia. E’ importante diffondere questo tipo di approccio.

Come è stata percepita, all’interno dell’azienda, la decisione di certificarsi per la parità di genere?

La componente femminile ha accolto la decisione molto positivamente, tra gli operatori ho riscontrato meno consapevolezza, forse un po’ di dubbio. Il fatto che la certificazione non sia stata recepita da tutti allo stesso modo ci convince a lavorare su questi aspetti, affinché l’inclusione diventi realmente normalità.

La certificazione di parità presenta diversi indicatori, quantitativi e qualitativi, il primo dei quali è proprio la cultura, che deve andare di pari passo con la strategia aziendale. Quali iniziative di sensibilizzazione state programmando in azienda?

Abbiamo già pensato ad una campagna di messaggi, della cartellonistica da affiggere in sede con frasi positive e messaggi inclusivi, che generino sorpresa e riflessione. Inoltre, pensiamo a dedicare delle ore di formazione da svolgere in piccoli gruppi, in modo che ci si possa confrontare. Già in fase di certificazione lo abbiamo fatto, anche per spiegare cos’è e cosa propone questa certificazione.

Tra gli indicatori chiave della certificazione, la tutela della genitorialità e la conciliazione vita-lavoro hanno un peso percentuale rilevante. Rispetto a questo, come vi siete relazionati in azienda?

Credo che da questo punto di vista sia importante rendere consapevoli gli uomini dei diritti e delle possibilità che competono loro in quanto genitori. L’intenzione è quella di essere accoglienti nei confronti di chi ha carichi di cura familiare, figli, genitori o parenti da accudire, garantendo una certa flessibilità di orario, così da contemplare gli imprevisti della vita quotidiana e permettere di bilanciare famiglia e lavoro. Non si tratta affatto di una banalità. Tornando alla cultura e alla strategia, è fondamentale che questa idea di accoglienza sia reale e non comporti, magari in via surrettizia, l’esclusione dai processi aziendali.

Per quanto riguarda il welfare, state lavorando su qualcosa di specifico?

Per quanto riguarda modifiche di orario o richieste di part-time, cerchiamo di essere sempre disponibili. Dal punto di vista del welfare, stiamo ragionando su iniziative nuove rispetto a quelle già messe in campo in passato, come, ad esempio, aiuti alle famiglie per l’acquisto dei libri scolastici oppure la possibilità di usufruire di una giornata di benessere in una Spa. Cerchiamo insomma di inventare sempre qualcosa di nuovo, per far sentire accolti e apprezzati i lavoratori. Da questo punto di vista, dobbiamo lavorare all’implementazione di una piattaforma di welfare che permetta di scegliere, tra varie possibilità, quella che il lavoratore ritiene più utile alla sua persona. Ragioniamo su cosa mettere a disposizione, approfittando anche dell’arrivo in azienda di persone nuove, portatrici di esigenze inedite che magari, fino a quel momento, non avevamo contemplato. La mia idea di impresa è quella di una casa in cui il dipendente venga volentieri e si senta accolto, anche nelle sue problematiche. Sono queste, a mio parere, le condizioni che consentono ad una persona di dare il meglio di sé.

Svolgendo colloqui, le è capitato di sperimentare la sempre maggior importanza degli aspetti di bilanciamento vita- lavoro?

Assolutamente sì, me ne accorgo sempre di più. Per le persone il lavoro è importante, ma lo è anche tutto il resto. Direi che certamente il denaro è importante ma non è l’unico fattore determinante per convincere una persona ad accettare un’offerta di lavoro. Nel computo di tutti i fattori, secondo me almeno un 30% lo fa l’ambiente di lavoro, che, evidentemente, è un fattore determinante! Questo influenza anche l’atteggiamento del recruiter. In azienda stiamo rivalutando l’approccio verso le persone che ricerchiamo e assumiamo. Personalmente credo che la competenza tecnica sia importantissima ma che possa anche essere formata sul campo. Ciò che ricerco è soprattutto la disponibilità a collaborare e un approccio positivo, che contribuisca insomma a quel clima di benessere di cui parlavo. In tal senso, direi insomma che l’approccio è cambiato da entrambi i fronti e, per me, è fondamentale che vada nella stessa direzione!

Le certificazioni fanno anche la reputazione dell’azienda, un fattore che è tanto più reale quanto più i valori certificati sono vissuti realmente dall’azienda e da chi ci lavora. Condivide questa lettura?

Le certificazioni servono perché sono uno strumento pratico di ordine per l’azienda. Più sono integrate tra loro, più diventano effettive. Si tratta di investimenti importanti, che richiedono un monitoraggio e un’attenzione costante, anche perché, tra controlli annuali e rinnovi, i certificatori vigilano costantemente. E’ in primis interesse dell’azienda che quello che viene certificato sia effettivamente reale.

Molte imprese temono la complessità della certificazione. Per quanto vi riguarda, ritiene che il fatto di avere già altre certificazioni vi abbia agevolato nel perseguire anche quella sulla parità di genere? Si tratta effettivamente di un iter complesso?

Certamente è impegnativo. Si investe sui consulenti e sulle risorse aziendali. Nel nostro caso, abbiamo implementato l’organico con persone che si occupano appunto della certificazione e di portare la certificazione dentro l’organigramma delle varie funzioni. Il costo c’è, ma fa da contraltare l’opportunità di ampliare l’orizzonte della propria attività. Un’azienda che si certifica è un’azienda che si sta strutturando e che risulta più pronta a reagire alle problematiche, superare le emergenze e affrontare nuove sfide. Si tratta quindi di un biglietto da visita importante, specialmente se si vuole lavorare in grandi contesti e confrontarsi con altre realtà produttive, anche lontane dalla nostra provincia. La certificazione rappresenta una sorta di curriculum dell’impresa, che attesta la realtà di un’azienda che si preoccupa di mettere in ordine, di migliorarsi continuamente e di agire secondo procedure specifiche e valori concreti per il conseguimento di obiettivi sempre più ambiziosi. A un obiettivo raggiunto corrisponde sempre un nuovo target di miglioramento e questo fa la differenza.

Si sentirebbe quindi di incoraggiare anche le aziende più piccole e meno dimensionate della sua a perseguire la strada della certificazione e a cogliere le opportunità di finanziamento esistenti e future?

Assolutamente sì! La nostra per prima è stata una piccola azienda. Bisogna sempre puntare in alto, non accontentarsi mai. Certificarsi è un primo passo per accedere ad un mondo diverso, quindi a chi me lo chiedesse direi di provarci, cogliere l’opportunità di strutturarsi e rendere la propria azienda sempre più competitiva e appetibile.

Come giudica il fatto che l’ottenimento della certificazione di parità sia incentivato tramite un sistema di sgravi e punteggi premiali per l’accesso a bandi e finanziamenti?

Può sicuramente essere un primo approccio per incentivare le imprese, ma quello che serve è impegnarsi per costruire e diffondere una cultura nuova. Questi strumenti vanno colti dalle imprese come opportunità di crescita e di rafforzamento, anche per affrontare le incognite di un futuro nel quale le variabili sono tantissime. A volte mi fermo a pensare che, magari, se non avessimo deciso di intraprendere questa strada, potremmo essere già scomparsi. Sono convinta che, così come il mondo è in continuo cambiamento, anche noi come imprenditori dobbiamo essere sempre disposti ad evolvere. Si può fare!

Per finire, quanto pensa che un cambiamento culturale come una reale parità di genere sia importante in un contesto socio-culturale come il nostro? Quale ruolo possano rivestire in questo senso le imprese? Le azioni delle imprese possono incidere anche sulla società?

Incidono tantissimo! Se pensiamo quanta parte del nostro tempo trascorriamo sul lavoro, capiamo che cambiare la mentalità delle imprese incide sulla mentalità di chi ci lavora. Il valore vissuto quotidianamente sul lavoro diventa valore condiviso da riportare nella propria famiglia, nella società e incide anche sugli indirizzi del decisore pubblico. Le imprese possono svolgere un ruolo fondamentale per contribuire a questo cambiamento, una grossa responsabilità, ma anche il senso più completo del fare impresa. Peraltro, se consideriamo i problemi di spopolamento di cui soffre la nostra provincia, è indispensabile che tutti possano entrare nei processi produttivi, e possano farlo nelle condizioni migliori possibili, senza dover rinunciare ad altri aspetti della propria vita. In questo momento storico è l’opportunità da cogliere.

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