Nella possibile modifica al nuovo codice degli appalti, che dovrà entrare in vigore entro il 31 marzo, sono previste due variazioni della legge delega. In primo luogo, per le stazioni appaltanti diventa ‘possibile’,  si legga ‘facoltativo’, ma non più obbligatorio prevedere nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, quali requisiti necessari o premiali dell’offerta, meccanismi e strumenti atti a garantire “le pari opportunità generazionali, di genere e d’inclusione lavorativa”. Inoltre, viene ridotto del 10% lo sconto sulle garanzie da presentare per chi ha le carte in regola: la garanzia nella nuova formulazione avrà una riduzione del 20% e non più del 30 per cento.

Fra le possibili modifiche, ve ne sono anche di favorevoli. L’articolo 47 della legge delega prevede, per le aziende con almeno 15 dipendenti, che partecipano alle gare di appalto o che risultano affidatarie dei contratti, l’obbligo di consegnare una relazione sulla situazione del personale maschile e femminile. Per le aziende pubbliche e private con più di cento dipendenti, viene previsto anche l’ulteriore obbligo di presentare una copia dell’ultimo rapporto sulla gender equality e di riservare, a pena di esclusione, una quota pari almeno al 30 per cento delle assunzioni necessarie, sia all’occupazione giovanile sia a quella femminile.

“Non vorremmo che ulteriori modifiche normative affievolissero la questione riguardante la parità di genere – interviene Rosy Silvestrini, Presidente del Comitato Impresa Donna della CNA del Veneto–. Su queste premesse si teme che il percorso virtuoso avviato lo scorso anno, e introdotto anche in misure importanti come il PNRR, possa essere vanificato da provvedimenti che a breve entreranno in vigore dopo che molte aziende hanno cominciato ad investire sul tema, molto attuale, della parità di genere. Con ‘parità di genere e pari opportunità’ intendiamo una partecipazione equilibrata tanto delle donne quanto degli uomini ai processi decisionali economici, politici o sociali senza alcuna discriminazione. Auspichiamo quindi che entro il 31 marzo la normativa venga modificata nel migliore dei modi.”

La parità tra donne e uomini è un valore fondamentale dell’Unione Europea. Si incontra nel Trattato di Roma del 1957, in cui emerge in modo chiaro il principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro. Da allora l’Unione Europea non ha mai smesso di affrontare il problema. Negli anni sono state tante le conquiste sociali, economiche e politiche delle donne, molta strada è stata fatta nel percorso di emancipazione femminile e sempre più donne hanno guadagnato, non senza fatica e sacrifici, un ruolo rilevante nella società. Nonostante i progressi, però, è ancora forte la necessità di ribadire il concetto che le donne hanno pari diritti e pari opportunità rispetto agli uomini.

In Veneto il 20% del totale delle attività produttive è di imprese femminili. Si tratta di un dato significativo e rilevante nell’economia del nostro territorio, che deve tutelare e rafforzare il lavoro e la capacità imprenditoriale femminile, intervenendo sulle criticità che ancora permangono, quali, ad esempio, la complessità della conciliazione vita lavoro e la difficoltà di accesso al credito. In generale, le imprese al femminile sono fra le più innovative, competitive e attente ai valori della sostenibilità ambientale con una spiccata capacità di fare rete, che rappresenta uno strumento utile per affrontare la sfida della competitività e della crescita dimensionale.

“Non possiamo che evidenziare positivamente  – aggiunge la Presidente Silvestrini – come il Consiglio Regionale Veneto abbia approvato nel febbraio 2022 una legge regionale per la pari retribuzione tra donne e uomini, in sintonia con la riforma del codice nazionale delle pari opportunità, che prevede il sostegno di interventi che vadano a premiare le aziende che aiutano e favoriscono il lavoro e la carriera delle donne, oltre a promuovere campagne e azioni pubbliche a sostegno dell’occupazione femminile. Se anche oggi le donne ricoprono cariche di rilievo, anche nella pubblica amministrazione e nelle istituzioni, vedasi ad esempio il nostro nuovo Governo, c’è ancora molta strada da fare. In Italia si è legiferato poco in favore delle donne: c’è da chiedersi se forse siano ancora troppo poche per poter fare massa critica e incidere in modo significativo e sostanziale. Basti considerare che in 75 anni di storia della nostra Repubblica le donne al Governo sono state una percentuale molto ridotta e lo stesso vale anche per il mondo delle imprese, dove, secondo i recenti dati di Unioncamere emersi dall’Osservatorio per l’imprenditoria femminile, solo un amministratore su 4 è donna.”

Infatti, una recente indagine sull’imprenditoria femminile condotta dalla CNA mostra dati in aumento per quanto riguarda il numero di imprese femminili dal 2020 al 2021, con una crescita di circa 11.500 unità, mentre l’imprenditoria maschile è invece rimasta ferma. Questo indica che è possibile che una ripresa parta dalle donne e sottolinea l’importanza dell’imprenditoria femminile per la tenuta del tessuto produttivo italiano.

Sempre secondo Unioncamere, i ruoli imprenditoriali ricoperti da donne nel 2021 sono 2,8 milioni, ovvero più di un quarto del totale, circa il 26%. Se consideriamo poi il numero di imprese registrate presso le Camere di Commercio, nel 2021 le donne operano mediamente in un’impresa su due e le stesse rivestono ruoli apicali in quasi un’impresa su tre.

“Alla domanda: “Le donne possono essere protagoniste della ripresa?” la risposta è sì – prosegue Rosy Silvestrini –. Per un progresso economico e sociale diventa imperante mettere al centro il lavoro e la dignità delle donne. Non a caso, l’agenda 2030 fissa tra i principali obiettivi per lo sviluppo sostenibile il raggiungimento effettivo della parità di genere. La strategia europea si riassume in diverse azioni: lotta alla violenza di genere, possibilità per le donne di raggiungere posizioni apicali nel mondo del lavoro e della politica. La parità di genere è essenziale e strettamente correlata allo sviluppo sostenibile. Fino a quando le donne in Italia saranno sottoutilizzate rispetto al loro potenziale, il paese non crescerà: a dirlo è la Banca d’Italia, secondo la quale se il tasso di occupazione femminile arrivasse al 60% il PIL crescerebbe di 7 punti. Le donne possono essere il motore della crescita.”

Ma per arrivare a questo risultato sono necessarie azioni condivise: investire sui servizi alla famiglia, sostenere ulteriormente l’imprenditoria femminile favorendo l’accesso al credito, promuovere e incentivare le start up e le imprese a conduzione femminile (pensiamo al recente bando per l’accesso al Fondo Impresa Femminile), introdurre un congedo di paternità obbligatorio allargando a lavoratori autonomi e partite IVA, e per queste ultime categorie rivedere le regole a sostegno del congedo di maternità, estendere il tempo pieno a scuola, puntare sulla crescita occupazionale e sociale delle donne senza costringerle a scegliere tra lavoro e famiglia, riformare i trasporti facilitando la mobilità femminile e puntare sulle giovani generazioni favorendo il loro accesso alle competenze STIM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica).

La sfida che si pone è quella di mettere in pratica le azioni e le riforme previste da questi piani, auspicando una presenza femminile equamente suddivisa con quella maschile nelle strutture di governance deputate a gestire questi investimenti.

“Nel mondo degli affari – conclude la Presidente del Comitato Impresa Donna della CNA del Veneto Silvestrini citando le parole di Ursula von der Leyen – in politica e nella società nel suo complesso potremmo raggiungere il nostro potenziale solo utilizzando tutti i nostri talenti e la nostra diversità. Impiegare soltanto la metà della popolazione, la metà delle idee e la metà delle energie non è più sufficiente.”

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