Nel comunicato di assegnazione del premio, for ‘having advanced our understanding of women’s labour market outcomes’ (‘aver migliorato la nostra comprensione dei risultati del mercato del lavoro femminile’), Jakob Svensson, presidente del comitato che assegna il premio, ha dichiarato che “comprendere il ruolo delle donne nel lavoro è importante per la società. Grazie alla ricerca pionieristica di Claudia Goldin, ora sappiamo molto di più sui fattori sottostanti e su quali barriere dovranno essere abbattute in futuro”.

Claudia Goldin ha “fornito il primo resoconto completo sui guadagni e sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro nel corso dei secoli” e ha svelato “le cause del cambiamento e le principali fonti del divario di genere che ancora esiste”.

Come ha detto Betsey Stevenson, docente all’Università del Michigan ed ex capo economista del Ministero del Lavoro degli Stati Uniti: “gli uomini prima di lei studiavano il lavoro e raramente si preoccupavano di come il cibo arrivasse sulla tavola, i vestiti sulle spalle e i bambini fossero cresciuti”.

Goldin ha dimostrato che oggi il divario retributivo di genere scatta in gran parte con la nascita del primo figlio e che la pillola contraccettiva ha offerto alle donne nuove possibilità di pianificare la carriera. Ha provato inoltre che la lentezza dell’annullamento della disuguaglianza di genere si spiega anche perché “le aspettative delle giovani donne sono basate sulle esperienze delle generazioni precedenti , per esempio, su quelle delle loro madri, che non sono tornate a lavorare finché i figli non sono cresciuti -”.

Goldin ha raccontato che la quota di donne attive nel mercato del lavoro non è cresciuta in modo costante negli ultimi 200 anni. Al contrario, è diminuita con la transizione dalla società agricola a quella industriale, all’inizio del XIX secolo, quando per le donne sposate divenne più difficile lavorare da casa e conciliare quindi vita lavorativa e familiare, per poi tornare a salire con la crescita della domanda nel settore dei servizi, nei primi anni del ‘900.  In particolare, Goldin ha dimostrato che la partecipazione femminile al mercato del lavoro non ha avuto una tendenza al rialzo durante l’intero periodo, ma ha formato invece una curva a forma di U, spiegando che questo andamento è il risultato di cambiamenti strutturali e dell’evoluzione delle norme sociali legate alle responsabilità delle donne a casa e in famiglia.

Partendo da queste evidenze empiriche, Goldin ha introdotto una nuova prospettiva per le scienze economiche e gli studi di genere. Contrariamente al parere comune, non c’è nessuna associazione storicamente coerente tra la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la crescita economica. La principale implicazione di questa scoperta è che, per ridurre le disparità fra donne e uomini sul mercato del lavoro, affidarsi alla crescita economica o al progresso tecnologico può non essere sufficiente.

Il contributo fondamentale di Goldin è stato anche indicare quali cause spiegano queste disparità. All’inizio del ventesimo secolo, solo il 20% delle donne aveva un lavoro retribuito e la percentuale scendeva al 5% fra le donne sposate. In quegli anni, nonostante un aumento della domanda di lavoro dovuta al progresso tecnologico, le donne erano spesso escluse da alcune professioni a causa dei ‘marriage bar’, leggi e politiche aziendali che limitavano l’accesso ai posti di lavoro alle donne sposate, incinte o con figli.

Un altro elemento fondamentale individuato da Goldin è stato quello delle aspettative. Molte donne della generazione degli anni ‘50 del secolo scorso sottostimavano le proprie prospettive di carriera nel pianificare la propria istruzione, poiché basavano le loro stime sui lavori svolti delle proprie madri. Le aspettative hanno cominciato a convergere con quelle degli uomini solo negli anni ‘70. È a partire da questo momento che le donne sono diventate più propense a perseguire l’istruzione superiore e, nei paesi ad alto reddito, le donne spesso superano oggi gli uomini nel livello di istruzione.

Ma allora perché le donne continuano oggi a guadagnare meno degli uomini? Goldin ha evidenziato come la discriminazione salariale nei confronti delle donne, in termini di differenze retributive non giustificate da fattori come produttività, istruzione ed età, sia aumentata notevolmente con la crescita del settore dei servizi. In particolare, con l’introduzione dei moderni sistemi di retribuzione, i datori di lavoro tendono a favorire i dipendenti con carriere lunghe e continuative che sono (spesso) prevalentemente uomini, anche in paesi sviluppati quali Stati Uniti e Italia.

Insieme ai suoi coautori, Marianne Bertrand and Laurence Katz, infatti, Goldin mostra in uno studio del 2010 come, nonostante a inizio carriera le differenze di reddito siano minime, l’arrivo del primo figlio cambi improvvisamente questa tendenza. I guadagni delle donne diminuiscono immediatamente e non aumentano allo stesso ritmo di quelli degli uomini, anche a parità di istruzione e professione. Le donne si assumono maggiori responsabilità nella cura dei figli e questo ostacola l’avanzamento di carriera e il potenziale guadagno a esso connesso.

Gli studi di Goldin si basano sugli Stati Uniti, ma ci permettono di trarre lezioni importanti anche per l’Italia.

In Italia, due milioni di donne non hanno un conto corrente! Questo è solo uno dei molti dati evidenziati dalla campagna informativa della Regione del Veneto denominata ‘Cambia Prospettiva’, incentrata sulla legge regionale n.3 del 15 febbraio 2022 “Disposizioni per la promozione della parità retributiva tra donne e uomini e il sostegno all’occupazione femminile stabile e di qualità”, con la quale la Regione ha introdotto una serie di interventi per:

  • contrastare i comportamenti discriminatori nel mondo del lavoro;
  • promuovere l’occupazione femminile stabile e di qualità e incentivare il reinserimento delle donne vittime di violenza;
  • promuovere misure che favoriscano la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
  • diffondere una cultura organizzativa antidiscriminatoria nei luoghi di lavoro;
  • contrastare il ‘gender pay gap’ e garantire la trasparenza dell’informazione e la neutralità nella retribuzione tra uomini e donne;
  • promuovere il Registro delle imprese virtuose.

Se il divario salariale nel nostro paese si attesta sui nove punti percentuali (poco meno della media OCSE), il divario di genere nella partecipazione alla forza lavoro è tra i più ampi fra i paesi sviluppati (18%) ed il lavoro part time continua a essere una scelta comune (il 29,5% delle donne nella forza lavoro lavora meno di 30 ore a settimane). L’impatto del lavoro di cura non retribuito è determinante: in media il 30% delle madri che lavorano smette di lavorare per occuparsi dei figli o di altri parenti e di queste solo il 12% torna a lavorare negli anni successivi. Le donne in Italia (come in altri paesi sviluppati) continuano a trovarsi costrette a scegliere fra il lavoro e la possibilità di costruire una famiglia.

Per un paese come l’Italia, in cui le donne hanno un tasso di completamento dell’educazione terziaria più alto degli uomini, la direzione indicata dal lavoro di Goldin è chiara: è necessario coinvolgere maggiormente gli uomini nel lavoro di cura dei figli e degli anziani e sovvenzionare maggiormente i servizi per l’infanzia. L’Italia, tuttavia, non ha ancora fatto negli ultimi anni i giusti passi avanti su questo fronte. Nonostante ci siano state delle proposte di legge per estendere fino a tre mesi il congedo di paternità totalmente retribuito, si rimane fermi a soli dieci giorni. Anche il fronte dei servizi per l’infanzia non è esente da situazioni critiche, poiché i fondi del PNRR finanziano la costruzione di nuovi asili nido, senza però prevedere fondi per le successive spese correnti, che vengono lasciate a gravare sui singoli comuni.

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