Come colmare il divario di genere? I dati dell’ultimo Rapporto AlmaLaurea 2022 sul profilo e la condizione occupazionale dei laureati ci dicono quanto la questione sia ancora molto seria.
Se, da un lato, lo studio rivela che, sul totale degli iscritti all’università, le donne sono la maggioranza e vantano curricula di studi brillanti e ricchi di esperienze formative, conseguite anche all’estero, dall’altro segnala che sono molteplici gli elementi che condizionano le scelte e gli esiti occupazionali.
Non sono tanto le esperienze maturate durante il percorso formativo a marcare la differenza, quanto piuttosto le aspettative e le aspirazioni personali. Su questi aspetti soggettivi, le donne sono maggiormente interessate rispetto agli uomini alla stabilità lavorativa, all’indipendenza e all’autonomia, rinunciando spesso a carriere rischiose, alla libera professione o al lavoro autonomo.
Le aspettative sembrano incidere direttamente sulla scelta del percorso di studi, con successive implicazioni sul percorso lavorativo e sulla retribuzione. L’ambito letterario-umanistico registra il 91,5% di componente femminile, i percorsi triennali STIM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) il 40%, che si riduce al 14% nei percorsi magistrali.
Il quadro che emerge, confermato anche dai dati del Bilancio di Genere del Ministero Economia e Finanze, appare fortemente stereotipato. Si impone pertanto una domanda: si tratta davvero di scelte libere, dettate semplicemente dall’inclinazione e dalle attitudini personali? O forse le scelte sono ancora condizionate dalla stereotipia di un’’opinione sociale’ che tanto cerchiamo di scardinare?
Siamo davvero capaci di riconoscere bias e stereotipi? Siamo capaci di riflettere sulle pratiche di genere che, magari inconsapevolmente, mettiamo in atto? Su questo esiste tutto un filone di letteratura che cerca spiegare il motivo per cui spesso tendiamo a considerare più meritevoli gli uomini rispetto alle donne. A questo proposito, è interessante mettersi individualmente alla prova, valutando le nostre associazioni implicite con lo IAT, il Test di Associazione Implicita che rileva in vari ambiti la forza associativa con la quale sono legati inconsciamente tra loro idee, concetti, categorie, fornendo una misura di quanto credenze, atteggiamenti e stereotipi possano essere più o meno forti e radicati.
Indagare se stessi è fondamentale, ma non basta. Sono le istituzioni e le organizzazioni del lavoro che devono cambiare radicalmente prospettiva.
I dati segnalano che le donne sono spesso occupate in contratti non standard e ciò influisce fortemente sulla scelta del lavoro e sulla retribuzione. L’analisi degli esiti occupazionali ribalta, infatti, il quadro delle performance di studio.
Gli uomini sono avvantaggiati in termini di tasso di occupazione e velocità di inserimento nel mercato del lavoro, anche in dipendenza del settore e delle caratteristiche del lavoro svolto: autonomo o alle dipendenze ma con contratti a tempo indeterminato.
Questo ci spinge a chiederci che cosa sia realmente l’uguaglianza e se essa significhi semplicemente rendere l’occupazione femminile uguale a quella maschile.
La vita delle donne è dinamica e necessita di condizioni di lavoro che ad oggi non esistono o non trovano applicazione. Non possiamo pensare che la soluzione al problema della parità salariale sia solo l’emigrazione all’estero, l’esito sarebbe una sconfitta drammatica per il nostro Paese già sofferente.
I problemi non sono nuovi ma evidentemente non hanno trovato ancora soluzione. I molti obiettivi posti nel PNRR per colmare il gender gap rappresentano un dato non trascurabile, grazie al quale possiamo auspicare che vengano messe in campo azioni e politiche sempre più inclusive e attente ai bisogni delle lavoratrici e dei lavoratori.