L’insicurezza economica, politica e militare globale sta mettendo a rischio i settori di maggior richiamo del Made in Italy. Agroalimentare compreso. Un comparto significativo non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale per la presenza massiccia di artigiani, micro e piccole imprese, le imprese diffuse sul territorio. A lanciare l’allarme una indagine condotta dall’area studi e ricerche della CNA.

Con 891 riconoscimenti conferiti al nostro Paese dall’Unione europea tra prodotti DOP (Denominazione di origine protetta), IGP (Indicazione geografica protetta) e SGT (Specialità tradizionali garantite), l’Italia surclassa ogni concorrente, anche la Francia (774 riconoscimenti) e la Spagna (391 riconoscimenti). Il 23,7% delle produzioni agroalimentari di alta qualità nel mondo batte bandiera tricolore, contro il 20,3% francese e il 10,4% spagnolo.

Di norma quando si parla di agroalimentare si fa riferimento alle attività manifatturiere orientate alla produzione di alimenti e bevande. Questa classificazione è però riduttiva. Tende a escludere le imprese della ristorazione che, spesso, associano all’attività di somministrazione la produzione di alimenti, un insieme di attività ampio e complesso organizzato in una logica di filiera che non può essere escluso. Nella filiera agroalimentare italiana, così definita, operano 324.000 imprese che, con oltre 1,7 milioni di addetti, generano 249,2 miliardi di fatturato. Si tratta di cifre di tutto rilievo. Le imprese della filiera agro-alimentare rappresentano il 7,2% dell’intero sistema produttivo nazionale, contribuiscono al 6% delle vendite, occupano quasi il 10% dei lavoratori italiani.

La diffusione sul territorio delle produzioni agroalimentari di qualità è, perdipiù, il volano del cosiddetto turismo esperienziale. Oltre che dalle bellezze culturali e paesaggistiche i flussi turistici sono sempre più motivati, infatti, dalla scoperta dei sapori e delle tradizioni eno-gastronomiche del territorio.

Un dato importante da evidenziare riguarda il ruolo di artigiani, micro e piccole imprese. Limitando l’attenzione alle sole attività di produzione di alimenti e bevande, emerge che queste rappresentano il 97,8% della base produttiva, occupano il 55% degli addetti, generano il 30,6% del fatturato.

Il 56,6% delle attività che operano nel comparto alimentare ha carattere artigiano. La presenza di imprese piccole o piccolissime, spesso a carattere artigiano, dimostra una volta di più che la piccola dimensione aziendale è garanzia di qualità ed eccellenza produttiva e contribuisce in maniera determinante al successo del Made in Italy.

Complessivamente, nel 2024 l’export del settore alimentare ha raggiunto i 59,8 miliardi di euro risultando il quarto settore esportatore italiano, con il 9,6% delle vendite oltre confine.

Il flusso rimane altamente concentrato in cinque Paesi (Germania, Usa, Francia, Regno Unito e Spagna) che, insieme, assorbono quasi la metà (il 49,2%) del fatturato totale.

Nel 2024, la crescita delle esportazioni del settore è stata trainata proprio dagli Usa, che hanno segnato un +11,9%, salendo al 12,9% complessivo, per un controvalore di 7,7 miliardi. Un dato preoccupante. L’orientamento protezionista degli Usa rischia infatti di ridimensionare fortemente la proiezione internazionale del settore, già minacciato da atti di contraffazione tollerata, ispirati al cosiddetto Italian Sounding, il fenomeno per cui prodotti alimentari, e non solo, imitano l’italianità attraverso nomi, immagini e colori evocativi, pur essendo prodotti all’estero e non avendo alcun legame con l’Italia.

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