Preoccupazione mista a pessimismo, anche quando i conti vanno bene.
Questa l’opinione delle piccole imprese italiane quale scaturisce dalla indagine dedicata alle aspettative delle imprese per il 2025, condotta dall’area studi e ricerche della CNA.
Il 53,1% delle imprese artigiane, micro e piccole, coinvolte nell’indagine prova difficoltà a formulare una previsione sull’andamento futuro dell’economia italiana. Una difficoltà che è dovuta al moltiplicarsi delle variabili, soprattutto geopolitiche e geoeconomiche, che, peraltro, stanno costringendo da tempo anche istituzioni autorevoli come la Banca d’Italia a rivedere frequentemente le previsioni sull’andamento dell’economia. Tra le imprese che si sono fatte una idea più precisa, il 28,5% ipotizza un 2025 difficile e caratterizzato da un peggioramento della situazione e solo il 18,3% degli intervistati è ottimista. Il pessimismo è ancora più diffuso quando dall’andamento economico complessivo si concentra la visione sulla propria impresa. Su questo fronte, cresce infatti non solo la quota di incerti sul proprio futuro (il 54,5% degli intervistati) ma anche di quanti prevedono dodici mesi insoddisfacenti per le imprese (30,2%) rispetto a un risicato 15,3% di fiduciosi.
Non si tratta di sensazioni. Il dato complessivamente negativo nasce da una convergenza di elementi. Dal fatturato alla quota di esportazioni, dall’occupazione agli investimenti, le previsioni hanno tutte il segno meno. Nell’ordine, la differenza tra risposte negative e positive segna una predominanza di saldo negativo del 31,6% per quanto riguarda gli investimenti, del 29,4% per l’occupazione, del 21,4% per l’export, del 18,4% per il fatturato totale.
Nel complesso, raggiunge il 42% la quota di imprese in indagine decise a ridurre la spesa per gli investimenti e l’occupazione. Scelte pericolose, perché fermare gli investimenti è rischioso, in una fase caratterizzata dall’introduzione massiccia di nuove tecnologie, e ridurre gli organici potrebbe aggravare il problema del reperimento di professionalità, già sentito ora, se il ciclo economico dovesse rafforzarsi.
La disaggregazione del campione fa risaltare l’opinione in controtendenza delle imprese meridionali e di quelle con titolari sotto i quarant’anni. Il saldo tra ottimisti e pessimisti, relativamente alle sorti dell’economia italiana, è positivo nel Mezzogiorno (+5,8% la differenza) e tra i giovani imprenditori (+2,3% il gap). Al dato del Sud contribuiscono tre fattori: gli andamenti economici del territorio sono meno legati alla congiuntura internazionale, la presenza di imprese manifatturiere è limitata e negli ultimi anni i risultati economici locali sono stati trainati dal turismo. Per i giovani si tratta di una sensazione derivata dai costi generalmente più ridotti delle imprese nate di recente e da una visione dell’incertezza legata alla propria storia imprenditoriale, che, presumibilmente, si è da sempre confrontata con la precarietà.