La violenza di genere entra in azienda in molti modi e rappresenta, ancora oggi, uno dei più grandi limiti all’emancipazione femminile. Le donne che subiscono violenza sperimentano percorsi lavorativi più frammentati, interruzioni forzate e una conseguente fragilità economica. Le imprese, però, lo abbiamo detto in varie occasioni, possono essere parte della soluzione. Il luogo di lavoro è uno spazio quotidiano dove consapevolezza e prevenzione possono emergere con efficacia, grazie a cultura, formazione e policies mirate.
Secondo l’ultimo rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, i lavoratori italiani si sentono “più poveri e meno protetti”, preoccupati per la perdita del lavoro, i problemi legati all’invecchiamento e l’incapacità di far fronte alle necessità familiari. Nel contempo, l’Italia si colloca tra gli ultimi Paesi del G20 per livello di alfabetizzazione finanziaria, evidenziando un gap significativo delle donne rispetto agli uomini (rapporto Edufin Index). Secondo la ricerca Kruk–Ipsos, il 64% delle donne dichiara di sentirsi poco o per nulla preparata sul piano finanziario, contro il 45% degli uomini. Le donne vivono il debito con maggiore disagio emotivo: il 50% delle donne intervistate dichiara di provare vergogna per la propria situazione debitoria (contro il 24% degli uomini) e il 40% ammette di non riuscire a dormire la notte anche al solo pensiero di non poter pagare una bolletta. Uno stato d’animo che, evidentemente, in situazioni di criticità relazionale o familiare, non può che contribuire ad aggravare il disagio, alimentando il senso di inferiorità e la dipendenza dal partner, terreno fertile per la violenza.
Intanto, in questo contesto, dominato dall’incertezza e dalla vulnerabilità, la relazione tra persona e lavoro sta cambiando profondamente. Il 62% dei cittadini intervistati nell’ambito dell’ultimo Osservatorio D, realizzato da SWG per Valore D, ritiene che le aziende dovrebbero avere un ruolo più incisivo nel contrasto alla violenza. Le donne in particolare richiedono che i datori di lavoro offrano supporto legale, assistenza psicologica e strumenti di azione in caso di difficoltà economica.
Il rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale evidenzia come non sia più sufficiente offrire benefit standardizzati ma si renda necessario costruire veri propri “hub di benessere” aziendali, capaci di rispondere alle esigenze reali delle persone.
In quest’ottica, secondo gli ultimi sondaggi WTW, data la pressante preoccupazione per il costo della vita e l’inflazione, il benessere finanziario è il target di interesse maggiormente in crescita tra i dipendenti (dal 57% nel 2021 al 70% nel 2022), così come è successo in Europa (dal 59% al 63%). Gli intervistati indicano il benessere finanziario come l’area in cui desiderano il maggior supporto da parte dei propri datori di lavoro.
Sul versante delle aziende, la letteratura contemporanea evidenzia gli impatti positivi su vari aspetti della vita lavorativa dei dipendenti coinvolti in programmi di educazione finanziaria. Le persone più capaci di far fronte alle proprie necessità risultano essere i lavoratori meno stressati, con evidenti riflessi sulla produttività e sui costi dell’organizzazione del lavoro, che si traducono, ad esempio, in riduzione dell’assenteismo e del turnover del personale, o limiti alle richieste di anticipazione del TFR.
Anita Lettink, consulente e speaker internazionale sui temi del futuro del lavoro, che abbiamo già citato in un altro articolo di questa speciale newsletter, ha condiviso le sue osservazioni, riflettendo sull’opportunità per un’azienda di occuparsi del benessere finanziario dei dipendenti.
La Lettink dice che, se le avessero chiesto cinque anni fa se i datori di lavoro dovessero aiutare i dipendenti a gestire le loro finanze, la sua risposta sarebbe stata un netto no. In qualità di people leader, allora pensava che le questioni finanziarie dei dipendenti fossero private, qualcosa da cui i datori di lavoro dovevano tenersi ben distanti. Ma la pandemia ha spostato tutte le prospettive sui confini della vita lavorativa, comprese le sue. Attraverso le videochiamate ognuno ha proiettato il proprio sguardo sulla sfera personale delle vite degli altri. Conversazioni sul benessere dei dipendenti, compreso quello mentale, sono diventate la norma. Questo ha portato Anita Lettink a chiedersi se questa nuova apertura includesse anche il benessere economico, perché nella realtà lo stress correlato alla situazione economica può essere distruttivo. Quando i lavoratori si preoccupano di dover pagare le proprie spese, questa preoccupazione lascia ben poca energia mentale per il lavoro. E allora, continua la Lettink, così come il supporto alla salute mentale aiuta le persone ad andare avanti, può aiutarle allo stesso modo anche il supporto finanziario? Nonostante i potenziali benefici, molte aziende esitano a compiere questo passo. Dunque si tratta ancora di un tabù? O stiamo invece lentamente adottando una concezione olistica del benessere dei dipendenti, che include anche la loro situazione finanziaria? Il filo conduttore, conclude Anita Lettink, sta chiaramente nel modo in cui paghiamo le persone. Di più: sta non solo nel retribuire bene le persone ma anche nel modo in cui i dipendenti poi utilizzano quel denaro
L’Harvard Business Review non ha dubbi: “It’s time to prioritize employees’ financial health”, è giunto, cioè, il momento di dare priorità al benessere finanziario dei lavoratori.
È chiaro allora come l’attivazione di percorsi di educazione finanziaria possa risultare uno dei fattori più utili per accrescere l’efficacia del welfare aziendale, che ha tutte le potenzialità per superare la sola dimensione di compensazione integrativa e assurgere a strumento che abilita le persone a vivere meglio.
Ogni programma di welfare aziendale, che voglia definirsi realmente di qualità e che si ispiri ai principi e alle linee guida della ISO 26000 in materia di responsabilità sociale d’impresa, dovrebbe includere in modo strutturale una componente dedicata all’educazione finanziaria. Un welfare realmente responsabile, utilmente spendibile anche in ambito di certificazione ESG, non si limita all’erogazione di benefit, ma promuove competenze e consapevolezze durature. L’educazione finanziaria ne rappresenta una delle leve più strategiche.
Il margine di azione è molto ampio, se si considera anche che, l’ultimo report del CENSIS registra un netto peggioramento nella percezione del welfare pubblico da parte dei lavoratori. Solo il 4,3% dei dipendenti ritiene che il sistema di welfare pubblico garantirà in futuro la copertura dei bisogni essenziali e il 41,8% dei lavoratori non sa a chi rivolgersi quando ha problemi di sanità, assistenza o rischi sociali. La forte sfiducia nel welfare pubblico va sommata alla scarsa consapevolezza delle misure economiche messe a disposizione dallo Stato, dalle Regioni e dai Comuni e alle difficoltà legate alle complessità burocratiche da dover affrontare per acquisire benefit pubblici. Talvolta, tra i lavoratori, è all’opera anche il bias cognitivo secondo cui disporre di un reddito induce a credere di non poter accedere alle misure di welfare pubblico. La somma di tutti questi fattori genera il fenomeno del non-take-up o del cosiddetto welfare non riscosso, calcolato mediamente in qualcosa come 1.200 euro pro capite.
È evidente, allora, che un programma di welfare aziendale davvero efficace rispetto agli obiettivi di responsabilità sociale di cui abbiamo parlato deve integrare la dimensione estesa dell’educazione finanziaria, associando a misure di welfare aziendale (inclusa l’offerta degli enti bilaterali, troppo spesso poco nota!) l’informazione sui benefit, di carattere pubblico, cui il lavoratore o un componente della sua famiglia può accedere. Si parla oggi di “welfare integration”, per definire l’effetto di potenziamento che le misure di supporto aziendale riescono ad ottenere se affiancate ai public benefit.
In una logica di questo tipo, che considera anche le misure di sostegno pubblico, il welfare aziendale può rappresentare una leva decisiva di empowerment. Informare adeguatamente le lavoratrici circa i benefit a cui possono accedere, come il reddito di libertà, i contributi regionali all’autonomia abitativa, i fondi per percorsi di reinserimento lavorativo, i servizi di supporto psicologico o legale e gli strumenti di conciliazione vita-lavoro, significa permettere loro di avere un’immagine chiara della propria condizione economica complessiva, e riconoscere le proprie opportunità di emancipazione economica.
Il dato secondo cui il 63,5% dei dipendenti è convinto che l’azienda in cui lavora potrebbe fare molto per migliorare il suo benessere si traduce in una chiamata di corresponsabilità dell’azienda da parte dei lavoratori e segnala una disponibilità ad un rapporto nuovo e diverso. L’impresa non è più controparte, non più bersaglio di ogni colpevolizzazione per quel che non va nella propria vita di lavoratore, ma polo di una potenziale partnership, in cui lavoratori, auto-investiti della responsabilità primaria per il proprio benessere, guardano all’azienda, come del resto guardano allo Stato e alle istituzioni, come possibili interlocutori alleati.
Accrescere il significato di welfare aziendale, facendolo diventare una concreta modalità di costruzione di un rapporto di fiducia, riconoscimento e engagement con l’azienda, per le PMI significa valorizzare uno dei tratti più autentici del nostro tessuto produttivo, la vicinanza alle persone.
Le imprese che investono nell’educazione finanziaria e in un welfare consapevole non solo rispondono a un bisogno reale, ma contribuiscono a costruire società più eque, più sane e più libere, corazzate contro la violenza economica. E questo è, oggi più che mai, un dovere comune.
Le iniziative su questi temi, che APPIA proporrà nei prossimi mesi, vengono dunque a rappresentare una proposta concreta in quest’ambito per le imprese e i lavoratori.

























































































































































































































































































































































































