Africa, Uganda, Kampala, slum di Namuwongo, una baraccopoli, una babele di 20.000 abitanti, probabilmente stimati per difetto, ammassati attorno a un distretto industriale che rende fluorescente l’acqua del canale che corre verso il grande lago Vittoria.

Retaggi culturali e religiosi, povertà, degrado, corruzione, analfabetismo, sieropositività diffusa e malattie endemiche, scarsa possibilità di accesso ai servizi sanitari. Tutto questo contribuisce ad esasperare le dinamiche di una violenza contro le donne che, per le sue dimensioni impressionanti, risulta quasi la norma a Namuwongo.

Violenze sessuali anche su giovanissime, talvolta nelle scuole da parte degli insegnanti uomini, quelle stesse scuole che poi escludono le ragazze rimaste incinte perché accusate di essere cattivi esempi. Gravidanze precoci e multiple, spose bambine, poligamia, prostituzione come unica alternativa di sostentamento, situazioni frequenti, per citarne solo alcune, che vittimizzano le donne in Uganda.

Ne abbiamo parlato con Francesca Costantini, Responsabile Progetti Internazionali dell’ONG Insieme Si Può (ISP), un ente che non ha bisogno di presentazioni e che, da oltre quarant’anni, si occupa instancabilmente di promuovere e amministrare progetti di cooperazione nel mondo, oltre a intervenire con attività di sostegno nelle situazioni di povertà sul nostro territorio.

Nel panorama dei paesi dell’East Africa, l’Uganda può dirsi all’avanguardia: formalmente la Costituzione riconosce pieni diritti alle donne e si registra un’ampia partecipazione femminile in politica. Il livello amministrativo più prossimo alla popolazione di un distretto, l’LC1, annovera di solito un uomo e una donna.

Nella realtà, i diritti alle donne sono un riconoscimento rimasto sulla carta, condito da una proliferazione incontrollata di norme, più un’etichetta di apparenza che un sistema capace di incidere effettivamente sulla vita delle persone.

In questo contesto, scommettere sulle donne è una scelta precisa, ponderata e dimostrata da esperienze reali. Francesca ci dice che le donne, tendenzialmente molto più degli uomini, sono capaci di mettere a frutto le opportunità e investire nel riscatto, non solo proprio, ma anche delle loro famiglie e della comunità. Per le donne sieropositive, lavoro ed emancipazione economica significano anche decostruzione dello stigma, il marchio sociale che le rende isolate e vittimizzate già dalla loro stessa famiglia, prima ancora che dalla comunità.

È sulla base di queste considerazioni che nel 2022 è nato il progetto “Costruirsi Un Futuro”, frutto di una programmazione condivisa con l’LC1 locale di Namuwongo e con le future beneficiarie dell’attività progettuale.

Francesca, che ha potuto seguire in prima persona questo progetto, insediato presso la sede ugandese di ISP, sottolinea come la programmazione sia un elemento fondamentale, anzi fondante, per l’idea e gli obiettivi che Insieme Si Può si è proposto.

Per l’analisi di fabbisogno, lo studio di fattibilità e la selezione delle beneficiarie, è stato indispensabile poter contare sulla collaborazione di tre facilitatori, provenienti proprio dallo slum di Namuwongo.

L’attività è stata proposta a 25 donne e si è sviluppata in due momenti, una prima fase di “alfabetizzazione finanziaria” sulla gestione di piccole attività generatrici di reddito, seguita da un corso professionalizzante di cucito e sartoria diretto dalla Sartoria Congolese di Bertin e culminata, a fine percorso, nella consegna di un kit per l’avvio di un’attività in proprio, macchina da cucire, stoffe e strumenti di lavoro.

Il percorso, conclusosi con un vero e proprio graduation day nel giugno scorso, ha dato modo alle ragazze coinvolte di esprimere un bisogno di emancipazione autentica, prima soffocato dalla rassegnazione, consentendo loro di maturare una nuova considerazione di se stesse e del loro potenziale.

La testimonianza appassionata di Francesca è quella di chi ha toccato con mano questo cambiamento, constatando il bisogno di queste donne di realizzarsi e di attestarsi come altro da fattrici e domestiche: “Il messaggio di Zaina che ringrazia per aver visto in lei qualcosa di diverso da una ‘ghetto girl’, l’emozione di vedersi riconosciute e validate dalla comunità il giorno del diploma, l’entusiasmo di Justine che, orfana ad appena 20 anni, si fa carico da sola dei suoi numerosi fratelli ed ora è convinta di volersi impegnare per realizzare un progetto simile a questo per altre ragazze della baraccopoli, tutto questo mi conferma nella convinzione che dare strumenti di qualità di vita cambia la percezione personale di sé, ed è da qui che parte il cambiamento”.

Il microcredito si è dimostrato nel tempo uno strumento efficace per aiutare le donne ad essere autonome e favorire lo sviluppo di interessanti dinamiche comunitarie di risparmio, che permettono alle beneficiarie di accedere alle cure e di assicurare un miglior futuro di istruzione ai loro figli.

E quindi, se inizialmente si è trattato di accostarsi all’imprenditorialità come necessità, ora la prospettiva è quella dell’opportunità e perfino del sogno di un futuro ambizioso sul mercato della moda.

Da qui il prossimo passo di questo progetto, su cui ISP si è impegnato con fiducia: la messa a nuovo di un container, per farne un vero e proprio laboratorio di sartoria, e l’organizzazione di corsi di potenziamento, anche sul marketing e la relazione col cliente.

Perché imprenditorialità in Uganda significa molto, molto di più di un valore economico. Serve a smontare da dentro la concezione, radicata nel tessuto sociale, che relega le donne alla vulnerabilità di una vita di schiavitù patriarcale.

Serve a fondare una consapevolezza di sé che sia da esempio anche per le altre donne e comporti il riconoscimento e il rispetto da parte della comunità.

Diremo di più: è capitato che in progetti di questo tipo, l’atteggiamento e i risultati conseguiti dalle donne abbiano convinto dell’opportunità di inserire anche piccoli gruppi di uomini, e questo è significativo e trasformativo.

Fatte le dovute proporzioni, queste considerazioni si iscrivono in un ragionamento complessivo per cui sostenere l’emancipazione delle donne significa contrastare fattivamente la violenza di genere.

In un mondo globale come il nostro, non possiamo considerare distanti queste realtà.

E allora crediamo che un segno per vivere in modo diverso questa particolare giornata e darle davvero un senso fuor di retorica può essere sostenere, anche come aziende, questo progetto di Insieme Si Può a favore delle donne, senza dimenticare che ISP porta avanti anche molte altre iniziative, come ad esempio la campagna”Natale Solidale” “Donne che cambiano il Mondo. Protagoniste nel Mondo e Qui” .

In questa scheda di dettaglio del progetto “Costruirsi Un Futuro”, è possibile trovare tutte le indicazioni per effettuare una donazione, anche piccola, e sostenere economicamente l’iniziativa.

Concludiamo dunque invitando le aziende a donare e ringraziando sinceramente Francesca Costantini, Responsabile Progetti Internazionali di Insieme Si Può, e il Direttore di ISP, Daniele Giaffredo.

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